danzamovimentoterapia in acqua

Danzamovimentoterapia in acqua

I confini sincronici nell’ottica sistemico-relazionale

 
di Renata Taddei  Romana Carini  Milena Poletto  Monica Nardo

(lavoro presentato al Congresso Nazionale APID “… Sul confine – La DMT e le frontiere clinico sociali” – Villasimius 2002  e successivamente pubblicato sul numero VIII ( novembre-dicembre )dell’anno 2002 sulla rivista ARTI TERAPIE)

Aspetti generali dei confini

Il concetto di confine, comunemente inteso come linea costituita naturalmente o artificialmente a delimitare l’estensione di un territorio, come limite o termine, assume una particolare rilevanza nell’ambito della DMT e della Sincroterapia®, che contemplano l’identificazione dei confini in un’ottica di sincronicità, quindi di un costante parallelismo psico-fisico.
Secondo una prospettiva filo e ontogenetica si può osservare che così come l’animale nuota nel mondo, senza distinzione fra un dentro e un fuori (egli è il suo mondo), anche il feto umano cullato nell’utero e nuotante nel liquido amniotico sperimenta uno stato di continuità, di fusione, di indifferenziazione con l’ambiente, sentimento definito da Freud oceanico” per sottolineare l’ “immensità” della sensazione di far parte di un Tutto, nel quale non si distingue il mondo che noi prolunghiamo all’infinito. Nell’atto della nascita si sperimenta la prima esperienza di de-fusione. L’essere umano pur conservando dentro di sé elementi provenienti dal tempo della fusione, non vi resta immerso; egli esce dall’ “uno” che lo ingloba  riconoscendovi degli aspetti che non gli appartengono (Altro). Ciò avviene nel momento in cui si crea uno spazio comune tra il fanciullo e la madre (che appartiene allo stesso modo al di-dentro o Sé ed al di-fuori o Altro) dove  essi giocano e creano insieme: si rinviano reciprocamente le proprie produzioni, si creano meccanismi che innescano il processo di separazione (es. ripetizione e creazione di doppi). Alla nascita il bambino non è in grado di distinguere il “dentro” dal “fuori”, ma li percepisce come un’unica realtà mescolata (Madre che rappresenta l’Altro è al tempo stesso esterno ed interno). Successivamente, grazie ad un processo che avviene passo dopo passo ed alla formazione di questa zona di scambio comune, il bambino inizierà il processo di differenziazione che lo porterà a riconoscere e distinguere il Sé dall’ Altro (Madre).
Winnicott chiama questo spazio “area transizionale”, i meccanismi con cui si realizza il passaggio dall’indifferenziato al differenziato “fenomeni transizionali” e gli oggetti che supportano tale processo “oggetti transizionali”. Questi ultimi sono oggetti che devono poter evocare la madre, funzionare inizialmente da esca per il bambino, provocandogli l’illusione della presenza materna e ricreando l’universo fusionale, per poi gradualmente farlo distaccare.
In DMT si riprende quest’area transizionale stabilendo uno spazio comune in cui il terapeuta ed i pazienti agiscono insieme, in cui si riattiva l’esperienza vissuta con la madre attraverso il suono di percussioni che evocano il battito cardiaco materno, la relazione di ritmo e canto e la struttura dei movimenti simmetrici, che consentono una regressione scaturente il processo di differenziazione. Altro elemento importante della danza è il “gesto ripetitivo”, che assume la funzione dell’oggetto transizionale: esso viene proposto dal terapeuta e ripreso dai pazienti che poi glielo rinviano (come avviene tra madre e bambino), pertanto in esso è contenuto sia qualcosa di chi lo propone, sia qualcosa di chi lo riflette, contribuendo a stabilire e mantenere lo spazio intermedio.
Il movimento della danza costituisce un trait d’union fra il fuori e il dentro, essendo un linguaggio che partecipa del corpo e dello spirito. La danza rappresenta un’attività privilegiata di riunificazione armoniosa dei due versanti dell’essere umano. La Sincroterapia tende a rendere il soggetto autonomo. Ciò implica non solo il sentimento della sua integrità corporea e di un riconoscimento di sé positivo, ma anche la coscienza della sua esistenza di fronte all’altro (riconoscimento dei confini). La pratica in gruppo costituisce un importante fattore di regressione, essendo il gruppo il luogo “materno” fusionale per eccellenza. La relazione individuo-gruppo deve essere regolata secondo una dialettica fusione - defusione, per permettere la differenziazione e garantire l’autonomia del singolo (nel gruppo : perdita e ri-acquisizione dei confini). A ciò è finalizzato anche l’uso del ritmo, che facilita una prima risonanza fra dentro e fuori, fra sé e l’altro.
Nel bambino la scoperta degli oggetti come Altro da sé avviene quando egli passa gradualmente da una stato fusionale di identificazione primaria con la madre ad uno in cui sviluppa un confine dell’Io, vivendo la sua seconda esperienza di de-fusione. Secondo Federn il confine interno delimita l’Io dall’inconscio rimosso. Durante il sonno i confini dell’Io si allentano consentendo al materiale non- egoico di entrare nell’ambito dell’Io. Il confine esterno delimita invece l’Io dal mondo-Altro intorno a lui. Un confine labile comporta una con-fusione Sé-Altro (es: psicosi).

Anzieu prende in considerazione il principio di differenziazione interna dalla superficie del corpo verso il centro (mente come pensiero che si origina dal corpo) ed il principio di contenimento (di Freud) e ipotizza che la cerchia maternale circondi il bambino di un involucro esterno che si adatta con una certa elasticità all’involucro interno, cioè alla superficie del corpo del bambino, luogo e strumento di emissione dei messaggi. In tal senso “essere un Io” è sentirsi capaci di emettere segnali intesi da altri. L’ involucro comporta l’individualizzazione del bambino, poiché lo riconosce, confermandolo nella propria individualità ed unicità. Se lo strato esterno è troppo allentato l’Io manca di consistenza, mentre se è troppo aderente l’Io del bambino viene soffocato nel suo sviluppo, invaso da uno degli Io dell’ambiente.
Anzieu avanza l’ipotesi di un io-pelle, intendendo così un modo di rappresentarsi come io corporeo distinto da un io psichico che il bambino adotta fin dalle primissime esperienze (confine entro il confine).

Il concetto di limite è da sempre presente anche nelle discipline orientali. Ad esempio nella ricerca del Tao, via della sapienza  e della verità naturale, modalità di agire in armonia con il corso della natura, si incontrano due tipologie di limiti:
- “limiti limitanti”: ostacoli effettivi, reali, che definiscono i con-fini delle proprie potenzialità
- “limiti illimitati”: quelli che riteniamo o immaginiamo siano limiti ma che in realtà, una volta operato un corretto mutamento di consapevolezza, di rado costituiscono fattori limitanti. La maggior parte delle limitazioni rientrano in questa categoria, poiché noi siamo generalmente oppressi da una mentalità limitata. Se si è disposti a confidare nelle proprie capacità di crescita interiori, si riuscirà a ridefinire ed esplorare i con-fini delle proprie potenzialità.
Alcuni limiti possono essere utili: in certi casi non è bene forzarsi oltre  essi, in quanto possono esserci conseguenze pericolose (superamento dei confini o loro perdita in senso patologico); in altri casi il limite può essere un solido punto di partenza dal quale trarre l’energia per proiettarsi oltre (terra, radici).

I confini nella prospettiva sistemico relazionale

La psicologia sistemica si sviluppa negli anni Cinquanta a Palo Alto a partire dalla teoria dei tipi logici di Russell, dalla teoria dei sistemi di Bertalanffy e dalla teoria del doppio legame di Bateson. Tale psicologia ha come presupposto teorico la teoria generale dei sistemi e come risultanza pratica la terapia sistemico-relazionale. Dalla teoria generale dei sistemi  deriva una forma di terapia basata sull’ idea che ogni volta in cui un sistema viene portato lontano dal suo stato di equilibrio, per un input esterno o interno ad esso, si apre una fase caratterizzata da un periodo di riorganizzazione del sistema stesso. Il terapeuta con le sue comunicazioni e teorie di riferimento è considerato come un sistema che entra in contatto con un altro sistema (paziente, famiglia, gruppo) modificandolo mediante l’informazione introdotta. La famiglia è un sistema costituito da un insieme di unità legate da relazioni significative in continuo interscambio con l’ambiente e la sua organizzazione e struttura qualificano l’esperienza dei membri. L’individuo influenza infatti il suo contesto di appartenenza e ne è influenzato mediante sequenze interattive costanti. I cambiamenti nella struttura famigliare contribuiscono ai cambiamenti nel comportamento e nei processi psichici interiori dei componenti del sistema.
Il sistema familiare differenzia e svolge le sue funzioni mediante sottosistemi, i cui confini devono essere chiari e definiti, se pur sufficientemente flessibili così da permettere l’assestamento quando le situazioni cambiano.  Secondo Minuchin ogni famiglia può essere collocata in un continuum tra due estremi: confini diffusi ( famiglie “invischiate”) e confini eccessivamente rigidi (famiglie “disimpegnate”). Invischiamento e disimpegno indicano uno stile transazionale, la preferenza di un tipo d’interazione, piuttosto che una differenza qualitativa tra funzionale e disfunzionale                                             
Il terapeuta deve diventare un attore all’interno del dramma familiare, inserendosi in coalizioni transazionali per raddrizzare il sistema, aiutando  i sottosistemi a negoziare e ad adattarsi reciprocamente, per creare uno scambio flessibile tra autonomia e indipendenza e promuovere la crescita psicosociale dei suoi membri.  In una famiglia invischiata i confini diffusi debbono essere rinforzati per facilitare l’individuazione dei membri; in una famiglia disimpegnata si cerca di diminuire la rigidità dei confini agevolando l’attivazione dei sottosistemi e la loro comunicazione.
Il terapeuta deve intervenire in modo tale da squilibrare il sistema, entrando in esso in modo sintonico, al fine di mutare i modelli transazionali disfunzionali. Lo sbilanciamento è volto a cambiare il rapporto gerarchico tra i membri di un sottosistema. Il terapeuta può anche far ricorso a concrete manovre spaziali per cambiare i rapporti di prossimità fra i famigliari, essendo i movimenti nello spazio indicativi di eventi psicologici o di transazioni emotive tra le persone.
Molti autori della scuola di Palo Alto hanno ampiamente dimostrato l’esistenza e l’importanza di un linguaggio non verbale, di un metalinguaggio che costantemente accompagna e si sovrappone al linguaggio verbale ed hanno sostenuto che questo tipo di espressività è utile per comprendere la reale disposizione emotiva dell’Altro, poiché utilizza segnali che emergono dalla personalità dell’individuo traducendo in atto quanto il linguaggio numerico nasconde. Partendo da tali premesse molti ricercatori hanno ampliato gli studi sul “movimento”, considerato come linguaggio analogico, che sfugge alle regole razionali e non censura emozioni e vissuti.
Caillé ricorre ad esempio alla tecnica delle “sculture viventi”, che implica la richiesta ai membri del sistema familiare di presentare il tipo di relazione esistente tra essi senza impiegare parole, ma mediante una rappresentazione fisica. Le spiegazioni dei soggetti rispetto alla stessa scultura spesso sono contraddittorie, ma solo in apparenza. Se si considerano infatti gli individui coinvolti come elementi di un sistema e i comportamenti presentati come parti di un processo circolare “autorinforzantesi”, le spiegazioni date non sono che interpunzioni differenti della stessa situazione. Tale rappresentazione di come i membri del sistema percepiscono ciò che avviene tra loro viene definita da Caille “modello fenomenologico” della relazione. Con la tecnica degli “schemi di sogno”ai familiari viene invece chiesto di mettere in scena ciò che caratterizza il rapporto. In tal modo viene manifestato come gli individui concepiscono la natura, l’essenza stessa della loro relazione, esplicitando quello che da Caille viene definito “modello mitico” della relazione.
L’approccio sistemico in terapia familiare evidenzia l’esistenza di più definizioni coesistenti di una  relazione, che accumulate formano la concezione globale. E’ fondamentale giungere a una concezione chiara e condivisa del rapporto perché si costituisca un equilibrio relazionale sano. Il fine terapeutico è quello di liberare la famiglia dai modelli di interazione rigidi agendo sulla sua capacità creativa di scoprire nuove soluzioni.

L’ importanza dei confini è uno degli aspetti sottolineati nel lavoro di Bowen circa i livelli di funzionamento umano. Essi sono classificati in un continuum tra due estremi: da un lato “indifferenziazione” (la relazione simbiotica è un esempio di stato clinico d’intensa fusione dell’io); dall’altro    “differenziazione” del sé.
Un sistema emotivo funziona per mezzo di un equilibrio delicatamente bilanciato in cui ciascuno dedica una certa quantità del suo essere e del suo sé al benessere degli altri. Le persone “differenziate” sono in grado di contenere il proprio funzionamento emotivo all’interno del sé , essendo libere di spaziare in qualsiasi sistema di relazione rispettando sia il sé che l’identità dell’ altro. La differenziazione del sé nel sistema familiare mediante la propria individuazione consente la flessibilità dei confini dell’io, necessaria per condividere le esperienze emotive , con la certezza di potersi svincolare da questo tipo di fusione emotiva per continuare la strada decisa autonomamente

Tale movimento (avvicinamento-allontanamento) è ritenuto da Whitaker  fondamentale  nella terapia, poiché permette di raggiungere al tempo stesso livelli più profondi di appartenenza e di differenziazione individuale. La famiglia sana è un sistema in movimento e tale danza non è casuale, basandosi su regole  nascoste e non articolate, ma molto potenti. Nelle famiglie sane esse fungono da principi e sono in funzione della crescita; nelle famiglie patologiche le norme sono usate per limitare il cambiamento e mantenere lo status quo.
Essere liberi di associarsi, poi disimpegnarsi e cambiare alleati è fondamentale per stabilire confini sani. Ogni individuo deve sentirsi libero di uscire dal sistema e ritornarvi, di separarsi ancora e di riunirsi, di “danzare” entro e oltre i confini.
Allo stesso modo il terapeuta deve essere in grado di associarsi alla famiglia e di differenziarsi da essa.
Il terapeuta nelle tecniche psicocorporee si pone nei confronti del paziente col proprio corpo “agito”, abolendo la distanza tra i corpi, “muovendosi” sul piano transferale e reale. Ogni contatto modifica lo schema corporeo e pone in discussione l’identificazione del sistema, tanto per il paziente quanto per il terapeuta: non può esserci una trasformazione dell’uno che non comporti sincronicamente quella dell’altro. Il corpo del terapeuta parla all’inconscio del paziente solo se utilizza il suo stesso linguaggio, connotato da una forte carica emotiva che penetri il vissuto dell’utente e lo modifichi, permettendogli di superare il  trauma. Il terapeuta può interagire con il mondo del paziente dopo essersi uniformato al suo movimento interiore: solo allora è possibile proporre delle varianti (entrare nel sistema in modo sintonico e sbilanciarne l’equilibrio). Entrando in contatto con il movimento in una relazione significativa si cerca di favorire la costruzione di un mondo di significati condivisibili, mediante uno stato di empatia corporea che permetta di essere dentro alla danza e di esserne fuori nello stesso tempo ad osservare (danza sui confini intersistemici).



 

Bibliografia

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