danzando con i sistemi

Danzando con i sistemi

La Sincroterapia® come approccio olistico

(articolo presente negli atti del convegno “il significato della visione olistica nella medicina moderna” , Milano (8/11 novembre 2001)

Autori: Dott. Renata Taddei psicoterapeuta analista DMT APID,

              Romana Carini insegnante sincroterapeuta

 

Ente: Ass. Liberté onlus EAR (Ente Ausiliario Regione Lazio) Scuola di Counseling in Sincroterapia®

L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce la malattia come una rottura dell’equilibrio fra i vari livelli che costituiscono l’essere umano, fisico, mentale, psichico, sociale, considerando l’individuo come un insieme olistico e non come un’unità frammentaria.
Su questo si fondano le terapie sistemiche relazionali, psicosomatiche e umanistico – esistenziali…..
La pratica terapeutica non può dunque essere scissa dai livelli biologici, sociali e culturali che compongono l’individuo.
 Vorremo iniziare da una frase di Freud. l’Io è “prima di ogni altra cosa un Io – corpo”(1922- L’Io e l’Es,  opere Boringhieri 90 pag 490) e da questo postulato trarre origine  per l’approccio psicosomatico alla base del nostro lavoro.

Il titolo dell’intervento è, parafrasato, il libro di Whitaker “danzando con i sistemi” ed è il tipo di approccio psicoterapeutico, di cui parleremo, che sta dando ottimi risultati con le patologie psicosomatiche più gravi.
Scopo di questo lavoro è richiamare l’attenzione sull’importanza del corpo come veicolo di emozioni e sentimenti, per comunicare a se stessi e agli altri vissuti personali, per esprimersi attraverso il movimento, per rendere conoscibili e rappresentare conflitti e pulsioni, sublimandoli attraverso la catarsi.
Riteniamo che questo studio possa contribuire a fornire conoscenze sulla percezione del sé come unità psicocorporea nel sociale ed offrire una metodologia, capace di liberare blocchi, tensioni, ansie, stress, vissuti inespressi. La Sincroterapia dà l’opportunità di unire armoniosamente, sincronicamente, corpo e psiche, per generare e far fluire energie positive in un’ottica psicosomatica.
                  
L’idea della S. nasce dalla “riscoperta dell’acqua calda”, come rispondo a quanti chiedono cosa sia.
  

  • L’acqua come origine della vita attraverso elementi storici, etnoculturali e sociologici e la sua funzione terapeutica nel tempo.

 “Quando lassù i cieli non avevano ancora un nome,
E in basso la terra non era chiamata con un nome,
E il primordiale Apsu (personificazione dell’oceano), che li generò,
E Mummu e Tiamat (mostro marino), madre di tutti loro,
Confondevano le loro acque in un solo tutto…”.
Enuma Elish (Quando lassù)il poema cosmogonico dei Sumeri

Sin dall’antichità i quattro elementi: acqua, aria, fuoco e terra erano messi in relazione tra loro e tale interazione era ritenuta il motore dell’incessante fluire dell’universo.
L’acqua ha sempre avuto una posizione “d’inizio”, la Grande Madre, l’”Oceano primordiale”, da essa trae origine ogni principio vitale: la vita sul pianeta ha inizio dall’acqua, nel liquido amniotico si muove il seme dell’uomo; l’acqua è l’elemento principe, carico di significati cosmici, simbolici, mitici.
I significati simbolici dell’acqua sono principalmente: sorgente di vita, mezzo di purificazione, centro di rigenerazione.
L’acqua è l’elemento che è sempre stato presente, nei miti della creazione:
Nella Genesi leggiamo “…lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque…”; nella tradizione induista, troviamo l’immagine di un uovo galleggiante sulle acque primordiali, il Brahamanda, generatore del mondo; ancora, secondo i midrashim, studi approfonditi sulle scritture ebraiche, nella storia della creazione le acque superiori non volevano dividersi da quelle inferiori e Dio era triste perché vedeva il loro dolore; solo quando Egli riuscì a separarle, poté iniziare la creazione della terra.
L’Antico Testamento descrive poi le meraviglie dell’acqua: presso i pozzi del deserto il popolo ebreo nomade celebrava l’amore e i matrimoni. L’acqua è un segno di benedizione: il giusto è paragonato ad un albero che cresce lungo il corso di un fiume.
Per i Greci la divinità marina Proteo è l’elemento acqueo della genesi, e, poiché l’acqua non ha forma, eccelle nei cambiamenti e nelle metamorfosi; qui l’acqua è pura potenzialità, capace di sconfinare nel tutto. (Luigia Bressan “Nettuno”).
Il nome di Nettuno, divinità marina dei Latini, deriva da “Neptus” che significa “sostanza umida”; l’etimologia rimanda al principio umido che è alla “radice delle origini”; Per gli Orfici il principio umido fa germogliare le anime e le immette di nuovo nel circuito cosmico della vita; l’umido quindi conduce anche alla reincarnazione.
Mircea Eliade descrive l’acqua come ”Principio dell’indifferenziazione e del virtuale, fondamento di ogni manifestazione cosmica, ricettacolo di tutti i germi; le acque simboleggiano la sostanza primordiale da cui nascono tutte le forme e alle quali tornano per regressione o cataclisma (diluvio universale).
Le acque sono al principio e tornano alla fine di ogni ciclo storico o cosmico; esse sono germinative e racchiudono nella loro unità indivisa le virtualità di tutte le forme.
Nella cosmogonia, nel mito, nel rituale, nell’iconografia, le acque svolgono la stessa funzione.
L’immersione nell’acqua simboleggia la regressione nel preformale, la rigenerazione totale, la nuova nascita, perché l’immersione equivale ad una dissoluzione delle forme, ad una reintegrazione nel mondo indifferenziato della preesistenza. (Battesimo di S. Giovanni)
E l’uscita dalle acque ripete il gesto cosmogonico della manifestazione; il contatto con l’acqua implica rigenerazione, perché la dissoluzione è seguita una nuova nascita e perché l’immersione fertilizza e aumenta il potenziale di vita e di creazione”.(Mircea Eliade, Trattato di storia delle religioni pagg.193-194)
La percezione immediata dell’acqua porta in sé il senso di un riconoscimento antico, ricco di mistero e sacralità, presente fin dagli albori del pensiero simbolico, carica di valenze di vita o di morte legate alla sopravvivenza dei popoli.
La misteriosità del mare, gli esseri nascosti che lo popolano, gli inganni e la seduzione dell’ignoto, apportano all’acqua proprietà fecondanti o mortifere, come la fonte dell’eterna giovinezza o le acque nefaste dello Stige, fiume dell’oltretomba.
La doppia valenza vita -morte, rigenerazione- purificazione, legano l’acqua ad immagini arcaiche di rinascita e saggezza, spesso correlate a riti iniziatici; per i Greci, ad esempio, l’acqua recava il dono della profezia o la condanna della follia, l’acqua della fonte Castalia di Delfi forniva invece l’ispirazione alla Pizia.
Proprio per la sua natura fluida ed il suo incessante scorrere, essa collega la vita terrena e sepolta, noto e ignoto, visibile e nascosto, manifesto e occulto...
Nel linguaggio alchemico l’acqua è simbolo dell’anima, descritta nel suo cammino tra stati di pace ed inquietudine, ora minacciosa ora pacificatrice.
L’acqua è agente di morte e rinascita: basti pensare al rito del Battesimo presente in molte religioni; al potere rigenerante dell’acqua del Gange immergendosi nella quale durante il mese sacro di Magha (gennaio-febbraio), si attinge purezza dal cielo; al Diluvio che rinnova un’umanità corrotta; al passaggio del popolo ebraico attraverso il Mar Rosso per raggiungere una vita nuova; agli antichi che immergevano annualmente nell’acqua i simulacri di Afrodite, Athena e Cibele.
Molte sono le leggende ed i racconti legati alle manifestazioni dell’acqua sotto forma di fonti, fiumi, mari e oceano.
La fonte sgorga spesso al centro di un giardino, un paradiso terrestre, dividendosi poi in quattro fiumi verso le quattro direzioni dello spazio (i punti cardinali); spesso nelle costruzioni arabe al centro di un giardino quadrato vi è una fontana. Per tradizione la fonte dell’immortalità nasce ai piedi di un albero ed è simbolo del continuo ringiovanimento; anche Alessandro il Grande avrebbe ricercato questa fonte senza mai trovarla.
Nelle leggende irlandesi si parla di una fonte guaritrice in cui si gettavano i guerrieri feriti in battaglia presso la quale il dio della medicina aveva messo un esemplare di ogni pianta medicamentosa.
Molti racconti su fonti, pozzi, fiumi riguardano le virtù curative delle acque.
In questi luoghi, a guardia delle magiche acque vi erano le ninfe per le fonti, le Nereidi per le acque marine, le limniadi per i laghi e le oceanidi per gli oceani; anche le credenze cristiane spesso mettono le fonti sotto la protezione di martiri e santi.
Nel passato si pensava che le proprietà terapeutiche dell’acqua riuscissero a curare le mostruosità come piaghe e pustole, proprio perché essa sgorgava da sottoterra, cioè dal regno dei mostri.
Per i Germani dalla fonte di Mimir sgorgava l’acqua del sapere ed il dio Odino cedette un occhio pur di berla.
Il fiume è strettamente legato allo scorrere della vita e delle cose: la sua discesa verso l’oceano è la riunione delle acque al tutto, la risalita è il ritorno alla sorgente divina, la traversata corrisponde al superamento di un ostacolo.
Lo stesso itinerario geografico del Gange, ad esempio, è rappresentativo delle tappe spirituali dell’anima umana, in quanto esso scorre dall’alto e proviene dalla capigliatura di Shiva.
Una credenza diffusa presso molti popoli, siano essi Greci, Indiani, Celti, Egizi, è quella che alla fine del pellegrinaggio terreno ogni anima debba attraversare una massa d’acqua che divide il presente dal passato, il cui fluire cancella nel viaggiatore i ricordi che lo legano alla vita.
Così il fiume Acheronte per i Latini, il Lete per i Greci, il Nilo per gli Egizi costituiscono lo spartiacque tra il regno della vita e della morte.
I ricordi lavati via dal fiume Lete non vengono però distrutti, piuttosto trasportati in una fonte che sgorga perenne e trasforma i morti in ombre: la fonte Mnemosine.
I mortali benedetti dagli dei possono ascoltare le voci delle Muse che presso la fonte cantano le cose passate e future; in questo modo nulla va perduto e le azioni e gli affetti delle Ombre tornano a far parte del regno dei viventi.
Nelle leggende le acque sono anche distruttive: il Diluvio universale ricorre presso vari popoli e anche una leggenda africana del popolo Amouka narra la scomparsa del paese di Kassipi, che separava la terra dei bianchi da quella dei neri, in seguito ad un’inondazione mandata dal dio Mouloukou per punire la durezza di cuore degli abitanti.
Presso gli Aztechi l’acqua è seme divino che feconda la terra, nel pensiero dei Dogon e dei loro vicini Bambara, invece, l’acqua è anche parola e verbo generatore.
La creazione del mondo è quindi parola umida, a cui si oppone una parola opposta gemella, rimasta fuori dal cielo: la parola secca, che ha solo valore potenziale e non può generare, che non viene espressa e corrisponde ai sogni, all’inconscio.
Questa parola fu rubata al dio creatore Am dallo sciacallo che viene interrogato nelle preghiere dei Dogon.
L’acqua lustrale era usata dai druidi per scongiurare i malefici e nei funerali.
Secondo i Celti alla fine del mondo regneranno incontrastati solo due elementi: l’acqua e il fuoco.
Il mare e l’oceano sono definiti da J. Chevalier e A. Gheerbrant come uno stato transitorio fra le possibilità ancora da realizzare e quelle già realizzate.
Per l’estensione senza limiti della loro superficie ci ricordano l’indifferenziato dell’elemento primordiale, e psicologicamente l’animo umano con le sue infinite passioni espresse simbolicamente dai pericolosi mostri marini, da combattere o da domare.
Nella Teogonia di Esiodo la Terra genera senza amore prima Pontos, il mare sterile, poi in unione con suo figlio Urano, l’Oceano. Dunque per Esiodo l’acqua sterile e l’acqua fecondatrice sono legate alla presenza o all’assenza dell’amore.

  •  Le varie forme d’arte come mezzo espressivo / terapeutico psicosomatico; in particolare della danza come terapia, considerando la sua evoluzione secondo diverse impostazioni teoriche

La danza con l’acqua è una manifestazione di vitalità arcaica e presso gli antichi Greci veniva assimilata al mito della creazione:
 “All’inizio Euronome, dea di tutte le cose emerse nuda dal Caos e non trovò nulla di solido per posarvi i piedi: divise allora il mare dal cielo ed scoprono intrecciò sola una danza sulle onde. Sempre danzando si diresse verso sud ed il vento che turbinava alle sue spalle le parve qualcosa di nuovo e di distinto; pensò allora di iniziare con lui l’opera della creazione”. (R. Graves - I miti greci pag.21)

La parola “arte” deriva dal latino ars, artis “modo di fare o modo di essere”; in greco la parola “artuo” vuol dire “articolare”, termine che implica la capacità d’adattamento e di movimento. l’arte terapia da noi intesa sia “un modo di essere in movimento”.
L’arte contribuisce alla guarigione grazie alla sua funzione catartica; la catarsi è un concetto antico, ed evoca un tempo in cui arte, medicina e religione erano con - fusi.
Già i Greci conoscevano il valore catartico e terapeutico delle varie forme artistiche e dell’atto creativo (teatro, disegno, scultura, danza..): Aristotele sosteneva, infatti, che lo spettacolo poteva purificare sia gli attori sia gli spettatori.
L’arte aiuta inoltre, la realizzazione e il sano sviluppo della personalità dell’artista nel sociale. Per la teoria gestaltista “l’espressione si potrebbe definire come il corrispettivo psicologico dei processi dinamici che si risolvono nell’organizzazione degli stimoli percettivi”.(Arnheim, t.).
Arnheim osserva anche, come alla base di ogni processo psichico operi la motivazione e come i bisogni siano soddisfatti con la produzione e la funzione dell’arte.
Nell’ottica psicoanalitica, infatti, le astrazioni sono rappresentazioni dirette dell’inconscio, della sfera personale più autentica dell’uomo; lo stesso Jung diceva di essere affascinato dalla pittura e di sostare a lungo davanti alla tela di un artista, non tanto per coglierne la tecnica pittorica, quanto piuttosto per la ricchezza dei contenuti inconsci così chiaramente espressi.
 “Sotto l’influenza di Freud, il poeta francese André Breton e i surrealisti il potere illimitato del sogno e i dedali dell’inconscio”. (M. Muret “Arte e Terapia”)
L’arte è l’anello di congiunzione tra l’individuo e la realtà esterna, realtà che egli percepisce, modifica, trasforma, interpreta ed arricchisce con la memoria dei vissuti personali, l’esperienza, la fantasia.
“l’uomo impara a conoscere se stesso solo nella misura in cui conosce il mondo e ritrova il mondo in se stesso”. (Goethe)
L’arte ha dunque una funzione adattativa e terapeutica: “L’arte riunisce, restaura, ricrea e conserva gli oggetti perduti, il suo fine ultimo è vincere la morte”.(Marc Muret “Arte e Terapia” pag.29).
In questo periodo storico è avvenuta una notevole rivalutazione dell’arte primitiva, naïf, dovuta alla facile fruibilità delle opere, al piacere, alle sensazioni positive che si provano nello sperimentare, nell’utilizzare in modo ludico e semplice i colori, le forme, i materiali.
Tuttavia ri – creare forme semplici e astratte non è solo un’arte primitiva simile all’atto creativo dei bambini, l’artista moderno non è una “tabula rasa”, ha conosciuto la realtà nella sua complessità; la sua arte può quindi essere definita “una scelta istintiva” o, come lo definisce Arnheim “un rinfrescarsi barbarico” da una realtà troppo strutturata, a volte artificiosa, per ritornare ad un ordine primordiale, ad una maggiore spontaneità e libertà d’espressione.
Fin dal principio, l’elemento artistico e creativo ha giocato un ruolo importante. Il confronto con l’arte, diceva O. Muhel, permette di formare la personalità. Nell’azionismo viennese, l’atto artistico assumeva, in certe occasioni, la forma dell’autoterapia. Questo andava incontro alla tradizione psicanalitica viennese e all'interesse crescente dei movimenti studenteschi per la propria soggettività, in particolare con la rinascita del dibattito a proposito dello psicanalista Wilhelm Reich.
Il primo tentativo per curare e rappresentare se stessi è una sorta di teatro spontaneo, in cui l'attore, al centro di un gruppo seduto in cerchio si mette in scena. “Egli cerca di superare la rappresentazione naturalistica delle proprie emozioni dando loro una forma, cioè plasmandole con il discorso, il canto, il gioco delle parti o la danza.” (Marc Muret “Arte e Terapia” pag. 171 – 172).
Secondo la psicoanalista Melanie Klein, è possibile restaurare e riparare le angosce dell’Io rivisitando il passato. Uno degli scopi, degli obiettivi della Sincroterapia vuole essere esattamente questo.

Per H. Marcuse
“L’arte è “un processo di desublimazione”.

Musica danza pittura teatro sono fin dagli albori della civiltà utilizzati anche come cura , citiamo i Pitagorici, Esculapio, e poi Freud, Jung e per la danza M. Whitehouse, T. Schoop. M Fux. L Sheleen….

*La Sincroterapia come terapia olistica, come mezzo di rappresentazione e comunicazione all’interno di sé e del gruppo:

Per la filosofia cinese il principio universale si trova anche nella più piccola parte, che coincide con il tutto.Il “grande principio” contiene le immagini delle nature stellari, del tutto ed è racchiuso nell’uomo .
Per Plotino le Anime individuali nascono da un’anima universale, e Pico della Mirandola afferma: “l’uomo è un piccolo dio nel mondo “, è un figlio del cielo, del macrocosmo.
Per Ippocrate l’uomo interiore ed esteriore rappresenta il tutto, una piccola parte del “Grande Inizio”.
In termini moderni “…l’idea del macrocosmo, che contiene le immagini di ogni creatura, rappresenterebbero l’inconscio collettivo…” (La sincronicità” Jung ).
Questo spirito è racchiuso in ogni creatura, è l’anima del mondo.
Il principio di sincronicità si osserva ogni volta che si determina un evento contemporaneo interiore ed esteriore, quindi il rapporto tra corpo e psiche è un rapporto di sincronicità.
La sincronicità postula l’esistenza di un senso al di fuori della coscienza umana, ma essa non è presente in maniera regolare e continua nella nostra vita, percepiamo l’ordine e l’armonia della realtà solo quando si verificano eventi “disarmonici”.
Mentre l’attività razionale del nostro cervello si sposa naturalmente con concetti come causa, spazio e tempo, il fenomeno sincronico sembra più legato a processi psichici inconsci, che emergono specialmente in situazioni intuitive o "magiche”
Proprio grazie alla ricchezza di significatività l’uomo coglie con il fenomeno sincronico l’aspetto globale ed omogeneo della realtà.
Il nome deriva dal concetto di sincronicità di Jung, dal nuoto sincronizzato ( la danza nell’acqua) e dalla danza movimento terapia.
La vita nasce dall’acqua. Da sempre tecniche di guarigione psicocorporee partono dall’elemento acqua. Già Ippocrate e Galeno, conoscevano i benefici dell’arte curativa dell’acqua.
La S. è una tecnica psicocorporea integrata, un approccio che vuole sintonizzare, “sincronizzare” e armonizzare diversi orientamenti e discipline.
Il metodo si basa su teorie cliniche e psicoterapeutiche che vedono il lavoro in acqua attivo e passivo per mantenere la salute, facilitare la guarigione, ridonare gioia, serenità e fiducia in se stessi.
Alla luce di una prospettiva etnologica e antropologica universale, lo sviluppo della Sincroterapia vuole “sincretizzare”, il rito, il mito, la psicoanalisi, in una nuova concezione terapeutica olistica.
   Per Jung il fenomeno della sincronicità è la risultante di due fattori:
- Un’immagine inconscia che si presenta direttamente o indirettamente come sogno o idea improvvisa o presentimento.
- Un evento obiettivo che combacia con il contenuto della rappresentazione o immagine inconscia; tale evento può accadere al di fuori della percezione del soggetto, in un altro luogo o in un altro tempo.
La sincronicità non è legata ad un rapporto casuale, è un elemento a sé stante che si affianca al concetto di causa, spazio e tempo e supera il concetto di sincronismo che postula essenzialmente la contemporaneità di due eventi.
Un’idea simile al concetto di sincronicità si riscontra nella filosofia cinese riguardo al Tao; il principio universale si trova anche nella più piccola parte, che coincide con il tutto.
Il “grande principio” contiene le immagini delle nature stellari, del tutto ed è racchiuso nell’uomo .
In termini moderni” …l’idea del macrocosmo, che contiene le immagini di ogni creatura, rappresenterebbero l’inconscio collettivo…” (La sincronicità” Jung pag. 89).
Questo spirito è racchiuso in ogni creatura, è l’anima del mondo.
Il principio di sincronicità si osserva ogni volta che si determina un evento contemporaneo interiore ed esteriore, quindi il rapporto tra corpo e psiche è un rapporto di sincronicità.
La sincronicità postula l’esistenza di un senso al di fuori della coscienza umana, simile alla concezione platonica delle immagini trascendentali.
Jung pensa che il rapporto tra corpo e psiche non sia dunque una relazione causale, ma un fenomeno sincronico.
La sincronicità non è presente in maniera regolare e continua nella nostra vita, percepiamo l’ordine e l’armonia della realtà solo quando si verificano eventi “disarmonici”.
Mentre l’attività razionale del nostro cervello si sposa naturalmente con concetti come causa, spazio e tempo, il fenomeno sincronico sembra più legato a processi psichici inconsci, che emergono specialmente in situazioni intuitive o "magiche”
La triade spazio, tempo e causalità, legate al mondo fisico, diventa una tetrade arricchendosi della sincronicità grazie alla quale si realizza una “complessività”, una unidimensionalità.
Proprio grazie alla ricchezza di significatività l’uomo coglie con il fenomeno sincronico l’aspetto globale ed omogeneo della realtà.
La sincronicità è un coordinamento acausale in cui ricadono gli “atti creativi “.

  • Presentazione di alcuni esercizi e tecniche della sincroterapia.

Elencare gli esercizi e la tecnica di attuazione di un incontro di Sincroterapia  e molto difficile perché ciò che si inscrive attraverso l’esperienza psicocorporea è bilogico  (Matte Blanco), agisce cioè, su diversi piani e dimensioni.
Sia nell’esperienza a terra che in acqua calda si può usare la musica per facilitare il lavoro.La musica incarna la legge e il tempo, è l’altro da sé, il contenitore e il ritmo che sostiene il movimento.
Durante gli esercizi l’attenzione sul respiro e il ritmo del cuore accompagnano gesti e movimenti.
Nella prima parte si curano particolarmente:

  • La dimensione collettiva del gruppo
  • la relazione con gli elementi: l’acqua, la terra, il fuoco, l’aria, la sincronia con il ritmo respiratorio e cardiaco per unificare, segnare il tempo e incitare i partecipanti
  • Narciso e l’amore di sé, del proprio corpo
  • Nettuno e le forze sommerse
  • il Dionisiaco, il vigore, l’energia, la forza, il patos che anima il gruppo
  • L’Apollineo, la purezza, la correttezza, la bellezza del movimento
  • Il senso e la specificità dei movimenti simmetrici, complementari e/o opposti
  • La ripetizione dei gesti in un continuum o in una circolarità carica di simbolismi
  •  La modifica dello stato di coscienza (onde alfa e theta) fino alla trance indotta dall’acqua
  • L’entusiasmo che si sviluppa, l’energia collettiva, la vitalità fino alla gioia

La Sincroterapia sceglie il corpo come teatro in cui rappresentare la dinamica dell’evoluzione psichica dalle sue origini, “il teatro mette in scena e la psicoanalisi ri-mette in scena”. Offre la possibilità di una ricostruzione e una differenziazione del sé e dell’altro, in cui è possibile rivivere sul piano simbolico l’esperienza intrapsichica e relazionale.
L’orientamento è anche quello di accettare e incoraggiare una certa regressione del paziente offrendo il gruppo come universo accogliente, per poi ricostruire, un processo d’individuazione in cui attualizzare i contenuti e i significati persi nel caos primordiale, nel disturbo mentale grave, d’equilibrio precario e nelle psicosomatosi.

La S. è utile per ricostruire gradualmente un mondo coerente d’oggetti e simboli condivisi nella realtà culturale in cui vive l’individuo.
Si tratta di riprodurre lo spazio nel quale il soggetto possa rivivere le proprie esperienze, preservando l'individualità e condividendola con l’altro. Questo spazio è fornito dal gruppo che costituisce il posto intermedio tra interno ed esterno.
Ogni incontro registra aspetti individuali e dinamiche di gruppo dove è incoraggiata e privilegiata la comunicazione non verbale.
Nella Sincroterapia è posta particolare cura al primo contatto con il gruppo, al respiro, al battito del cuore che creano il ritmo, al rilassamento, al ri-trovarsi, alla fluidità e alla mobilitazione di tutti i segmenti corporei.
Il movimento è “la parola” del gruppo ed è qui che si possono attuare anche processi di regressione e riattualizzazione conflittuale, dove il mito, diventando simbolo, riorganizza e ristruttura l’Io.
La parola, la voce, nasce nell’elemento fluido per rinascere nell’etere attraverso il respiro, l’urlo, la parola; è espressione vitale dell’individuo, si trasforma con – nel gruppo fino a creare una sincronia armoniosa.
Nella Sincroterapia è possibile strutturare diverse tipologie gruppali: quelle che comprendono il grande gruppo con un numero di partecipanti ampio e vario, che ricorda il branco, in una lettura psicoanalitica; e quelle che accolgono pochi elementi, il piccolo gruppo, nel quale è importante lavorare per fasce d’età o problematiche simili.

  • La Sincroterapia nella pratica clinica.

In relazione ai vari gruppi che si possono creare, sottolineiamo che questa tecnica è adatta a tutti, dai bambini, passando per gli adolescenti e gli adulti, fino agli anziani.
Il bambino, attraverso il movimento, attraverso il corpo, impara a conoscere il mondo e a conoscersi, facendo esperienza diretta delle cose che lo circondano e di sé.
Il movimento è una parte essenziale della vita d’ogni essere umano; sin dalla nascita rappresenta una modalità comunicativa fondamentale, che modula gli scambi relazionali e scandisce i tempi della relazione madre – bambino. L’aspetto cognitivo e quello emozionale si uniscono nella creazione, libera o guidata, di forme in movimento, dando l’opportunità di esprimersi e allo stesso tempo di essere ascoltato.
Nella Sincroterapia, attraverso la specificità della tecnica e la dimensione gruppale, sono sviluppate l’unità e l’empatia nella differenziazione tra i partecipanti, e tra questi ed il terapeuta. L’acqua, la posizionea cerchio iniziale, il rituale, favoriscono la socializzazione e la coesione, ricreando dimensioni primitive gruppali.
Gli esercizi specifici, il lavoro sott’acqua, la ripetizione dei gesti, l’imitazione, il lavoro sul respiro e sul ritmo del cuore, tutto contribuisce poi, a creare uno stato di coscienza modificato che rende l’esecuzione dei gesti più libera ed efficace. L’uso dei movimenti, di saltelli, di lavoro sul piano dell’acqua, l’uso dello spazio, insieme con fonemi e vocalizzazioni semplici, l’imitazione degli animali, la mobilitazione dei vari segmenti corporei attraverso il gioco sono utili per questa fascia d’età.

Per le problematiche psicosomatiche e adolescenziali è molto utile questa tecnica, proprio per la centralità che la tematica corporea assume in adolescenza.
In S la tematica corporea è dominante, e nel caso degli adolescenti riesce ad unificare l’elemento corporeo con quello simbolico, dando al ragazzo la possibilità di “significare” il corpo e le sue trasformazioni.
Per gli adolescenti è importante anche canalizzare l’aggressività attraverso il vigore, l’energia, ma anche la fluidità, la purezza dei gesti, caratteristici della S.     
.Accanto alla dinamica corporea, la socializzazione è il tema prevalente del lavoro con i ragazzi, e per questo motivo va stimolata ed incoraggiata, specie in quei soggetti che hanno difficoltà a relazionarsi all’altro e a stringere rapporti psicologicamente e fisicamente più “intimi”. Anche per questo è importante lavorare sulla ritualizzazione, perché segna un’importante cornice entro la quale conoscersi e riconoscersi con ed attraverso l’altro.
La S. è stata creata e studiata appositamente per adulti, quindi tutte le considerazioni finora esposte sono valide per questo gruppo.

Per gli anziani l’attività della S. aiuta la coscienza dei propri mezzi psicofisici, e ha l’importante funzione di essere un’attività ludica, piacevole, gratificante ed anti-depressiva; aiuta il rilassamento psicomotorio e la coordinazione, il recupero del tono, la forza muscolare, l’elasticità delle articolazioni, migliora la circolazione e l’efficienza respiratoria.

Anche per l’handicap, come noto, il movimento costituisce una valida proposta terapeutica, in quanto permette al soggetto di esprimere le emozioni che verbalmente non sarebbe in grado di raccontare. Naturalmente, per questi soggetti, e nell’ambito specifico della S., non potranno essere presi in considerazione tutti gli esercizi, se la motricità è notevolmente rallentata o invalidata.
La S., in questo contesto, cerca il più possibile di trasmettere positività, e qualsiasi risultato è ottenuto attraverso la gioia ed il sorriso,ciò è maggiormente auspicabile se consideriamo che queste persone di solito devono sopportare delle terapie fisiche dolorose ed intense.
L’aspetto ludico è una parte essenziale del lavoro con i disabili; in particolare, va stimolata la dimensione gruppale che la S. propone come elemento fondamentale per l’appartenenza dei soggetti al gruppo, alla dimensione collettiva.
Riguardo all’ampio spettro delle nevrosi, l’utilizzo della S. offre un contributo interessante ed è consigliata per depressioni, inibizioni, disturbi psicosomatici.
Nelle malattie psicosomatiche trova il suo habitat naturale, le patologie psicocorporee infatti hanno bisogno di un lavoro omeopatico sul corpo.

Lo stato psicotico, secondo il DSM IV, è caratterizzato da diverse patologie, come per le nevrosi, è importante un lavoro terapeutico specifico e individualizzato.
Il corpo si caratterizza per la disincronia delle sue parti ed è vissuto in relazione all’elemento cardine che contraddistingue questa patologia: la dissociazione.
La S. fornisce archetipi e riesce a raggiungere il nucleo sano dello psicotico.
Nella S. il gruppo diventa strumento di terapia e riattualizza le tematiche della fusione e della differenziazione, ricrea le matrici transpersonali carenti o anomale della primissima infanzia.
La S., opera a diversi livelli: appartenenza e differenziazione, fusione e separazione e permette al soggetto di uscire dall’alternativa “duale” psicotica, per situarsi  nell’“altrove”.
Il ritmo ha la doppia funzione dinamizzante (paterna) ed esteriorizzante e rassicurante e contenitiva (materna).
Il passaggio continuo dentro-fuori, Sé ed Altro, ristabilisce il senso di un unità psicosomatica.
La S. si prefigge, nel lavoro con lo psicotico, tenendo presenti i diversi tipi di psicosi, di ristabilire i tre elementari meccanismi d’autonomia nel modo seguente:
- Orientare l’attività del soggetto verso l’esterno
- Fornire una coscienza del corpo come entità separata dall’altro

  • Arrivare all’elaborazione dell’oggetto assente tramite “significanti” sostitutivi.

E’ un richiamo alla genealogia, poiché il movimento reinscrive la persona nelle sue origini, evocando, attraverso la corporeità, le radici umane ontologiche.)
E’ un’unificazione, sincronizzazione, riorganizzazione degli antichi dualismi, dell’amore – odio, “seno buono – seno cattivo”, presenza – assenza dell’oggetto libidico, polarità padre – madre, il dualismo fusione – separazione (concetto di Tao)….
La binarietà dell’atto motorio riattualizza queste antiche polarità che nello psicotico sono strutturati con modalità d’estrema tensione o d’estremo rilassamento.
E’ un ripristinare e riproporre continuamente il passaggio “fort – da”, (fusione – separazione), attraverso i gesti binari ripetitivi, e il superamento dello stadio dello specchio, per il passaggio verso l’autonomia.  
È una riattivazione del processo transazionale, poiché si attua il medesimo meccanismo con cui il bambino giunge alla simbolizzazione dei fenomeni transizionali. L’oggetto transazionale, necessario per il processo di differenziazione, è sostituito dal gesto. 
Il gesto è proposto come un enunciato collettivo e, attraverso questo, ogni soggetto afferma la propria diversità e individualità, con la personalizzazione del gesto e della voce.
Attraverso il gesto condiviso, lo psicotico acquisisce una sua immagine corporea, unica e originale, dando una “ri-creazione” di Sé.
 
Esponiamo due lavori clinici nei quali è possibile notare come l’approccio psicocorporeo nelle problematiche psicosomatiche sia stato di grande aiuto

La prima esperienza, effettuata presso l’Associazione Liberté Ente Ausiliario della Regione Lazio, ha esaminato il lavoro terapeutico di un gruppo di ex tossicodipendenti, che hanno utilizzato la S. per riscoprire e riscoprirsi in una nuova dimensione corporea e psichica per ritrovare i confini psico-corporei. La S. ha avuto la funzione di evitare la frammentazione e l’alienazione, apportando un nuovo concetto di “corpo, realtà, spazio e tempo”.
                     
Il secondo lavoro di psicoterapia ha utilizzato varie tecniche di S. nel sistema familiare, sia a livello corporeo che a livello psichico (seguendo anche le teorie di Beateson, e della scuola di Palo Alto, che postulano una rispondenza tra movimento psichico e movimento fisico, nei ruoli e nello spazio).
A Parigi P. Marty ed altri parlano del pensée opératoire come  stile povero di associazioni di immaginazione e legato alla realtà molto vicino alla personalità psicosomatica di Pazienti alexitimici ( dal greco a mancanza lexis parola thimos emozione) Questa patologia oltre che nelle malattie psicosomatiche classiche è presente in alcuni pazienti con disturbi alimentari e da uso di sostanze o con disturbi narcisistici.
Nei casi limite, il corpo quindi, ha utilizzato il movimento in acqua come oggetto transizionale per ri/scoprire se stessi e gli altri nella realtà. Attraverso la gestualità, il ritmo, il movimento, il soggetto ha re/imparato a relazionarsi, a modulare la distanza intersoggettiva ed ha creato nuove modalità relazionali, con una maggior consapevolezza del proprio Sé nel tempo e nello spazio.
Ogni singolo elemento di S. corrisponde a diversi momenti terapeutici, e a differenti patologie; la precisione e la cura del particolare hanno trovato espressione nella storia e nella dinamica terapeutica.
A conclusione del nostro lavoro, possiamo dedurre che la metodologia adottata è rispondente alla domanda terapeutica e che può trovare vari campi d’applicazione anche e soprattutto in terapie d’emergenza.

Dal” sentimento oceanico” alla differenziazione, al ben-essere nel qui ed ora.
Terminiamo così, con una frase di Isadora Duncan:

”Se potessi dire cosa significa,
non avrei bisogno di danzarlo.”

 

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